La morte di Maradona ci ha lasciati atterriti, increduli, storditi. Era già un personaggio storico, potremmo dire senza prenderci troppo sul serio un po’ come Cesare o Napoleone, anche in vita. Le sue gesta riempiono gli occhi di chi ha avuto la fortuna di vederlo danzare in campo, anche solo in TV, ed i racconti fatti ai più piccoli, “andate a vedere su YouTube chi era Maradona, perché i giocatori di adesso gli dovrebbero pulire gli scarpini!”.

Noi facciamo comunicazione. Può dunque stridere un articolo dedicato alla morte di Maradona, anzi meglio alla sua vita, in un blog che solitamente si occupa di ben altro.
Ma in realtà, se Diego avesse calcato oggi i campi da calcio, in una società in cui un calciatore non è semplicemente tale ma anche un personal brand, forse le cose sarebbero andate in maniera diversa.

E ci piace salutarlo, pensando proprio questo: che cosa sarebbe potuto accadere se Diego fosse stato un brand?

Il concetto di personal brand  

Si parla di personal brand quando al centro dello storytelling, della comunicazione e del processo di acquisto non c’è un’azienda o un prodotto, ma la persona che di quell’azienda o di quei prodotti si fa portavoce.
La persona in questo modo diventa essa stessa il prodotto, perché ciò che acquisti davvero sono i suoi valori, il suo modo di essere, la sua storia, le emozioni che è capace di darti, i sogni che ti porta a fare, la capacità che ha di farti dire “vorrei essere come lui/lei”.

Che cosa accade in questo caso? Che l’attenzione sul professionista dal quale origina il personal brand si espande molto oltre le sue competenze e capacità lavorative, andando ad includere tutta la sua sfera personale: che cosa fa, che locali frequenta, come vive la sua vita quotidiana, che cosa mangia, come si veste, il rapporto con la famiglia e tanto altro ancora.

Cristiano Ronaldo e David Beckham, cos’hanno in comune?

Prendiamo Cristiano Ronaldo, uno dei più potenti esempi di personal brand di oggi nel mondo del calcio. Ma potremmo fare lo stesso anche analizzando il caso di David Beckham che qualche giorno fa, a 7 anni dalla fine della sua carriera da calciatore, ha firmato un contratto da 45 milioni di dollari per prestare la sua immagine ad una società che crea videogiochi.

Che cosa hanno in comune questi due personaggi? Sono ottimi calciatori, vero. Ma non è solo questi a traslare la loro capacità magnetica dal rettangolo verde al mondo del business.
Sono belli, ok. Ma non è neppure questo. Hanno un’immagine tendenzialmente irreprensibile: sono uomini di famiglia, si tengono lontani dagli eccessi, hanno la faccia pulita del bravo ragazzo.
Incarnano dei valori importanti, saldi. Che fanno sì che non solo i ragazzini vogliano riconoscersi in loro (o le ragazzine li vedono come gli uomini dei loro sogni), ma anche la popolazione adulta li riconosca come esempi da imitare.
Da qui nasce il successo di qualsiasi prodotto o progetto sposino: il boom del loro personal brand, quello che li fa diventare dei Re Mida, nasce dalla loro immagine. Costruita o reale, poco conta. È ciò che vede la gente.

La vita e la morte di Maradona in un universo parallelo

Molti imputano la morte di Maradona ad una vita fatta di eccessi. Ma non sta certo a noi giudicarlo e neppure ci interessa.
Perché, ridurre la considerazione di un uomo che ha segnato generazioni diverse, sarebbe triste e restrittivo.
Quello che leggerai da qui in poi, vogliamo essere chiari, è solo pindarico, una versione assolutamente ipotetica, una lettura di un universo parallelo nel quale, semplicemente, ci sarebbe piaciuto vedere Diego: che cosa sarebbe accaduto alla vita e di conseguenza alla morte di Maradona se fosse stato protagonista nel calcio di oggi?

Sopra abbiamo riportato due esempi di calciatori moderni che devono il loro grande successo anche al di fuori del rettangolo verde all’essere anche dei personal brand, all’avere esteso la propria influenza ed il proprio potere ad altri ambiti.
Che siano sponsor di alcuni marchi o che abbiano creato proprie linee di business, l’attenzione mediatica nei loro confronti è elevatissima, così come la loro capacità di convertire i fan in acquirenti.

Ma tutto funziona anche perché sono un vero e proprio prodotto di marketing. Con ogni probabilità ogni scatto che esce sui giornali, ogni loro dichiarazione, ogni apparizione mondana o al contrario ogni video postato dall’interno delle loro case è quanto meno un mix di spontaneità e realtà e di strategie decise a tavolino.

Se Diego fosse sceso in campo oggi, non c’è dubbio che la sua classe lo avrebbe reso ancora una volta un protagonista, il protagonista.
E su di lui si sarebbero accese le luci dello star system esterno al mondo del pallone, quello che crea il vero business.

È probabile che non sarebbe stato lasciato da solo a combattere con i suoi fantasmi, perché quando sei un personal brand sei un prodotto e quindi non puoi permetterti passi falsi.
Magari ci sarebbe stato un esperto di comunicazione a dirgli come e con chi parlare, che ambienti frequentare, che cosa evitare.
Probabilmente non sarebbe stato genio e sregolatezza, ma genio e faccia pulita, il talento puro che puro lo è anche fuori dal campo.

E allora forse, se Diego fosse stato un personal brand, la morte di Maradona non sarebbe avvenuta così presto, in un modo così tragico, ma brutalmente inevitabile.