Scegliere il nome di un brand – o di un prodotto o di un servizio – non è un semplice esercizio creativo.
Sarebbe bello se lo fosse, perché significherebbe che il copywriter al quale viene affidato questo arduo compito, potrebbe impugnare la penna come fosse la Spada nella Roccia e farne il suo strumento per creare un mondo migliore.
Fuor di metafora, se la creatività fosse l’unico limite, il percorso sarebbe oggettivamente più semplice. Allo stesso tempo però, rischierebbe di diventare un puro esercizio stilistico, che nulla aggiungere al prodotto, al servizio, all’azienda.

E invece, la scelta del nome di un brand – naming in gergo tecnico – finisce per influenzare in maniera importante le chance che un prodotto, un servizio, un’azienda hanno di posizionarsi rispetto ai competitors nella mente e nella “classifica acquisti” del target di riferimento.

Le operazioni preliminari

Quando viene commissionato un naming, l’agenzia o il professionista deve svolgere alcuni fondamentali compiti analitici, che rappresentano il sostrato sul quale poi sarà possibile poggiare il processo creativo.

  1. Analisi del contesto, che riguarderà i punti di forza e di debolezza, gli elementi caratterizzanti, i dettagli unicità che definiscono l’azienda, il prodotto, il servizio.
  2. Analisi dei competitors, per capire in quale nicchia ci si può posizionare per rubare una o più fette di mercato ed essere considerati in qualche modo più appetibili, per comprendere eventuali errori nei quali i concorrenti sono incorsi e non ripeterli, per rubare il buono che è stato fatto e trasformarlo, plasmandolo sulla base dei valori dell’azienda, del prodotto o del servizio.
  3. Analisi della buyer persona, cioè del o dei target di persone alle quali vogliamo piaccia la nostra azienda, il nostro prodotto, il nostro servizio, tanto da convincerli a diventare nostri clienti; va capito quali sono le loro paure ed i loro desideri, quali le loro aspettative, come possiamo sorprenderli, quale linguaggio va utilizzato e così via.

A conclusione di queste tre fasi preliminari, avremo un quadro di riferimento sufficientemente chiaro che ci permetterà di entrare nel vivo: iniziare pensare come scegliere il nome di un brand, prodotto o servizio.

I punti ciechi

Ci siamo quasi, ma non possiamo ancora entrare nel momento delle idee.
Prima dobbiamo porre dei paletti, che renderanno tutto molto, molto più complicato.
Dobbiamo infatti sapere che:

  • se al brand – o prodotto o servizio – andrà associato un dominio (www.naming.it/com/shop, etc) dovremo controllare attraverso alcuni portali specializzati che la nostra idea non sia già stata sviluppata da altri; se il dominio è già occupato, dovremmo scartare il nome del brand che avevamo immaginato
  • se siamo un’azienda che ha un business locale, se nelle vicinanze c’è un’azienda che opera nel nostro stesso settore e che ha il nostro stesso nome, dobbiamo farci venire in mente qualcos’altro; più complesso ancora, se il nostro mercato di riferimento è nazionale o locale

Insomma, dobbiamo fare il possibile per far sì che la caratteristica di originalità sia rispettata.

Il processo creativo che conduce a scegliere il nome di un brand

Ok è arrivato il momento: via libera alla creatività!
Si ma…da dove si inizia?

Un primo nodo da sciogliere riguarda la lingua: italiano o inglese?
Dare una risposta non è semplice; certo è che se vogliamo posizionarci a livello internazionale, un naming angolofono potrebbe essere la scelta più saggia. Anche se, direte, l’italiano ha un’accezione talmente alta in tutto il mondo che, se siamo nel settore luxury, potrebbe rappresentare un plus! Vero anche questo. Ed è per questo che torniamo al punto di partenza: grazie alla nostra analisi preliminare sapremo la strada da percorrere.

Volendo essere coerenti con il criterio di originalità, immaginare sintagmi di fantasia, attraverso crasi e simili, può aiutare moltissimo a liberarsi dalle maglie dell’ovvio. In questo caso, va fatta attenzione a non spingere troppo sull’acceleratore, arrivando a forme sgraziate, che non producono sensazioni positive e, di conseguenza, non colgono l’attenzione del nostro target.

Altro segreto, può essere quello di ragionare su aspetti storici legati al settore di operatività dell’azienda oppure alla tipologia di prodotto o servizio che si va a proporre.

E poi…ci vuole una buona dose di sensibilità ed empatia per entrare in contatto sia con l’imprenditore che con il pubblico al quale si vuole mirare.